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                       Il
                      dipinto si trovava sul retro della tela Città
                      studi dello stesso anno. Entrambe le opere risalgono
                      agli esordi di Sassu, al momento in cui abbandona
                      gradualmente il secondo futurismo, con cui aveva
                      partecipato alla Biennale di Venezia nel 1928 insieme a
                      Bruno Munari e spinto da Marinetti. 
                      Il dipinto in esame è una delle primissime opere a
                      tematica sacra, come la celebre Ultima
                      cena dello stesso anno, e ne presenta le stesse
                      caratteristiche. In entrambe le tele infatti, i personaggi
                      biblici sono ritratti in un contesto urbano, nella
                      fattispecie milanese.
                       
                      Milano
                      è la principale protagonista del primitivismo di Sassu,
                      proprio negli anni in cui la città si stava trasformando
                      agli occhi dell'artista, che la rappresenta sempre in una
                      struttura geometrica, ancora eredità del futurismo, ma
                      con un tocco in più che è quello della malinconia e
                      della solitudine che caratterizza i dipinti di questo
                      periodo. In effetti, la stessa Città studi è un paesaggio desolato, come quello sullo sfondo
                      dell'opera qui presa in considerazione. Il Cristo
                      rappresentato da Sassu potrebbe essere un uomo qualunque,
                      così come lo è nell'Ultima cena dello stesso anno, in cui tutti gli apostoli
                      vengono vestiti in giacca a cravatta. Non vi è traccia
                      del tempio, come se la città stessa fosse lo scenario
                      dell'episodio biblico, e in cui i mercanti paiono essere
                      due passanti.
                       
                      I
                      colori 
                      sono illuminati da una luce diffusa e le forme
                      volutamente poco dettagliate. Il dipinto lascia presagire
                      quel Sassu colorista che sboccerà di lì a poco con i
                      rinomati Uomini
                      rossi. 
                      
                       
                      "Il
                      primitivismo di Sassu non è circoscritto all'interesse
                      per un' umanità umile, dai sentimenti e dalle aspirazioni
                      più elementari. Si rivolge anche a soggetti religiosi con
                      una spiritualità calata nella quotidianità e pervasa da
                      una partecipazione emotiva immediata, di intonazione,
                      ancora, popolare, fuori di concettualismi dogmatici o di
                      preoccupazioni didattiche. Ne discendono dipinti di tema
                      sacro carichi di sapore, che quasi celano le
                      "fonti" colte (s'è sopra ricordata la
                      predilezione di Sassu per l'Angelico e Masolino) e
                      riescono ad incarnare le due anime della poetica e della
                      pittura dell'artista in figurazioni dense di idealità e
                      insieme, senza però svilirne il contenuto spirituale, di
                      "spontanea " umanità." (Caramel, 2000)
                      
                       
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